IL SISTEMA RIFIUTI

2.1 - Legislazione nazionale ed europea
Il lungo e travagliato iter legislativo che ha portato alla normativa vigente in materia di rifiuti ha preso avvio negli anni settanta con la stesura di direttive comunitarie, che sono state attuate nel nostro Paese solo negli anni ottanta, decisamente in ritardo rispetto agli altri stati europei.


Tre sono le direttive CEE cui si è ispirata la legislazione nazionale:

- direttiva CEE relativa ai rifiuti;

- direttiva CEE relativa allo smaltimento
- direttiva CEE relativa ai rifiuti tossici e nocivi.

 

In attuazione delle suddette direttive, il 10 settembre 1982, veniva emanato il DPR n. 915, che con le successive modifiche, rappresenta ancora il principale strumento di base per la regolamentazione della materia rifiuto.
Tale DPR, suddiviso in 35 articoli, stabilisce: una classificazione dei rifiuti, le categorie di discariche previste, gli operatori del servizio di smaltimento, le funzioni dei vari organi amministrativi, le tasse, le sanzioni nonché le procedure necessarie per ottenere le autorizzazioni. Riporta inoltre, in allegato, un elenco di 28 gruppi di sostanze che a determinate concentrazioni rendono i rifiuti ‘tossici e nocivi’.
Il recepimento e l’attuazione delle direttive comunitarie sui rifiuti (91/156/CEE), sui rifiuti pericolosi ( 91/689/CEE ), sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (94/62/CE ) , si sono  concretizzate nel Decreto Legislativo n°22 del 5 febbraio 1997, più conosciuto come il “Decreto Ronchi”. Esso, abrogando quasi completamente le precedenti Leggi in materia, si propone di disciplinare la gestione dei rifiuti al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo, introducendo il principio di responsabilizzazione e di  cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui si originano i rifiuti.
Nella Comunicazione della Commissione Europea “Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti” , è stato evidenziato come la definizione di rifiuto sia stata la protagonista di accese discussioni, condotte anche a livello europeo. In questa occasione, la Commissione ha ribadito la sua disponibilità ad avviare un dibattito sulla definizione di rifiuto invitando gli “stakeholders” (o portatori di interesse) a fare proposte per migliorarne la definizione senza intaccare l’obiettivo di protezione dell’ambiente.
Tuttavia, la definizione di rifiuto, nel 2005, durante una riunione per una nuova direttiva sui rifiuti , non è stata modificata . In base all’articolo 3 del Decreto Ronchi, il rifiuto è definito come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi” (rimasta identica al DPR n. 915 del 1982).
La Commissione, inoltre, ha definito anche la nozione di “sottoprodotto” , la cui problematica ha subito una maggiore attenzione in seguito all’introduzione della direttiva 2006/12/CE . Sotto profili giuridici, la questione sottoprodotto è consequenziale all’introduzione della nozione di rifiuto e delle relative difficoltà interpretative al riguardo, dunque la nozione di sottoprodotto è speculare a quella di rifiuto.

2.2 - Classificazione dei rifiuti
Un rifiuto può essere classificato a seconda dell'origine o a seconda delle caratteristiche di pericolosità. Secondo l'origine i rifiuti sono classificati in rifiuti urbani e rifiuti speciali.
Secondo le caratteristiche di pericolosità, invece, sono classificati in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.


I rifiuti urbani sono:
a) rifiuti domestici anche ingombranti;
b) rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
c) rifiuti di qualunque natura o provenienza,  giacenti sulle strade ed aree pubbliche;
d) rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali.


Sapere qual è la composizione dei rifiuti urbani permette di programmare meglio la gestione, quindi lo smaltimento e il riciclaggio.


I rifiuti speciali sono:
a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle-attività di scavo;
c) i rifiuti da lavorazioni industriali;
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i) i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
l) i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;
m) il combustibile derivato dai rifiuti.

2.3 - Lo smaltimento dei rifiuti
Perché quella dello smaltimento dei rifiuti è una delle tante questioni ambientali che rimane ancora aperta? Eppure, un vero e proprio effluvio di disposizioni legislative ha direttamente e/o indirettamente cercato di mirare, ormai da almeno quindici anni, a un obiettivo ben delineato: quello della salvaguardia e della tutela dell’ambiente. La validità e l’efficacia dei provvedimenti normativi sino ad oggi emanati in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti possono però essere testate solo attraverso un’analisi puntuale degli esiti che hanno indotto sul territorio.


È chiara quindi la volontà di istituire una gerarchia tra le diverse fasi della gestione:
a) È necessario ridurre la produzione di rifiuti;
b) Si devono massimizzare riutilizzo, riciclaggio e recupero;
c) Solo in ultima analisi, si devono prendere in considerazione le ipotesi ed i modi di smaltimento.

 

Per quanto riguarda le forme di smaltimento, il decreto Ronchi sancisce che, “a partire dal 1° gennaio 1999, la realizzazione e la gestione dei nuovi impianti d’incenerimento possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione è accompagnato da recupero energetico” (art.5 comma 4), e che “dal 1° gennaio 2000 è consentito smaltire in discarica solo rifiuti inerti (…) ed i rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento” (art. 5, comma 6).
Il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani come indicato nel D.Lgs. 22/1997 prima e nel Codice dell'Ambiente ora, impone alle Regioni ed enti locali l'adozione di una innovativa formula organizzativa nell'ambito delle rispettive competenze in materia di rifiuti. La gestione integrata dei rifiuti consente, mediante la selezione e l'applicazione di tecniche adatte, di tecnologie e di programmi di gestione, di raggiungere specifiche finalità ed obiettivi nella gestione dei rifiuti solidi .
Per quanto riguarda i sistemi di smaltimento, questi vengono realizzati in base alle dimensioni del problema e all’impatto ambientale. Attualmente i sistemi di trattamento in appositi impianti sono: discariche controllate, incenerimento, compostaggio e riciclaggio.

2.4 - Discarica Controllata
Il D.Lgs n. 36 del 13 gennaio 2003, definisce “discarica” come un’«area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno».
L’Unione Europea promuove come strategia primaria per lo smaltimento dei rifiuti il compostaggio e il riciclo. Pertanto, con direttiva 99/31/CE, ha stabilito che in discarica debbano finire solo materiali a basso contenuto di carbonio organico e materiali non riciclabili. Tutto ciò perché, i tempi di degradabilità di molti rifiuti sono lunghissimi pertanto possono rimanere nel suolo anche fino a 1000 anni dalla chiusura della discarica. Per questo è importantissima la differenziazione.


In Italia, sfortunatamente, il principale metodo di smaltimento è ancora la discarica. La normativa italiana prevede tre tipologie di discariche (art. 4 del D.L.vo n. 36/2003):
- Discariche per rifiuti inerti;
- Discariche per rifiuti non pericolosi (tra cui Rifiuti Solidi Urbani);
- Discarica per Rifiuti Pericolosi.

 

La discarica prevede lo stoccaggio di rifiuti per strati sovrapposti, allo scopo di facilitare la fermentazione  e degradazione della materia organica che avviene ad opera di batteri anaerobici presenti all’interno. Questo processo porta alla produzione di percolati e biogas (soprattutto CH4 e CO2). I primi sono responsabili dell’inquinamento delle falde sottostanti, i secondi dell’inquinamento ambientale (principalmente cambiamenti climatici).
La costruzione di una discarica controllata segue la normativa DPR 915/82 secondo cui deve seguire rigorosi criteri di localizzazione, realizzazione e di gestione. Infatti dovrebbe essere posizionata in luoghi geologicamente adatti, caratterizzati da terreno argilloso al fine di isolare il percolato dalla falda sottostante e dovrebbe essere attrezzato per riutilizzare il biogas prodotto come combustibile per energia. Inoltre la posizione dovrebbe essere lontana dalle abitazioni in quanto, oltre a rovinare il paesaggio, possono disturbare gli abitanti a causa di odori molesti, rumori, polveri e presenza di insetti.
Il processo di degradazione si svolge in diverse fasi, durante le quali la sostanza organica viene prima ridotta in componenti minori e successivamente trasformata in biogas, un gas composto prevalentemente di metano ed anidride carbonica. Il biogas è una fonte di energia pulita e rinnovabile. L'estrazione del biogas (captazione) avviene mediante pozzi verticali, posizionati nel corpo della discarica e collegati mediante una rete di tubi ad un sistema di aspirazione. Il biogas captato viene inviato ad una centrale di cogenerazione, quindi diretto a motori in grado di azionare gruppi elettrogeni.
Il percolato liquido che si genera in seguito a processi di liscivazione (separazione di componenti solubili da una massa solide mediante un solvente) e fermentazione all'interno di una discarica, viene estratto da pozzi di captazione con un sistema di drenaggio attraverso pompe ad immersione poste all'interno dei pozzi stessi. Una volta estratto, il percolato viene raccolto in cisterne di stoccaggio e successivamente inviato presso impianti autorizzati al suo smaltimento.

2.5 - Inceneritori e Termovalorizzatori
Sono impianti per lo smaltimento di rifiuti urbani e/o speciali che utilizzano processi di combustione che producono gas, polveri e ceneri.
La differenza tra l’inceneritore e il termovalorizzatore è che il primo distrugge termicamente la materia con cui si alimenta, il secondo sfrutta il potere calorifico della sostanza che brucia per la produzione di energia elettrica. Per cui nel caso del termovalorizzatore si unisce lo smaltimento dei rifiuti al recupero di energia. Il termovalorizzatore è da preferirsi alle discariche perché c’è recupero energetico ma non al riciclo che è considerato il modo più appropriato per la gestione dei rifiuti.
La costruzione del termovalorizzatore è stata incentivata dallo Stato per la produzione di energia elettrica. 
Il termovalorizzatore è composto da un forno all’interno del quale vengono bruciati i rifiuti, a volte utilizzando un gas metano che innalza la temperatura di combustione. La forte emissione di calore porta alla vaporizzazione dell’acqua in circolazione nella caldaia posta a valle; il vapore attiva una turbina che, accoppiata a un alternatore, trasforma l’energia termica in energia elettrica.

Figura 1 - Termovalorizzatore. Fonte: http://www.cisaweb.info/verdeweb/Spazio%20insegnanti/5termodistruzione.htm

Poiché un’alta percentuale di rifiuti non risulta combustibile, questa viene smaltita sotto forma di ceneri, polveri e fumi. Le ceneri e le polveri, una volta fatte raffreddare, vengono estratte e smaltite in discariche speciali e sono classificati come rifiuti pericolosi. I fumi, invece, dopo che passano in sistemi di filtraggio che diminuiscono il contenuto di inquinanti chimici e solidi, vengono rilasciali nell’atmosfera.
È facile intuire, però, che l’utilizzo di questi inceneritori, non è una metodo di eliminazione dei rifiuti ma, semplicemente, vengono trasformati in una composizione chimica differente che è molto più nociva (sia per l’ambiente che per la salute dell’uomo) di quella iniziale. Infatti, la quantità di rifiuti che entra all’interno dell’inceneritore è uguale alla quantità di scarti prodotta:

- energia elettrica;
- fumi e polveri di scarico che andranno nell’atmosfera;
- ceri nocive che andranno nelle discariche speciali;
- acque di scarico inquinate che comprometteranno falde e terreni.

 Dal camino di un inceneritore fuoriescono almeno 250 sostanze note, tra cui:

2.6. - Compost
Si definisce “compost” ciò che deriva dal processo di bio-ossidazione e di umidificazione di una serie di materie organiche, quali, ad esempio, residui di potatura, scarti di cucina, letame, e così via, da parte di macro/micro-organismi in particolari e specifiche condizioni, vale a dire in presenza di ossigeno ed equilibrio tra i vari elementi chimici che compongono la materia coinvolta nel processo di trasformazione . Sinteticamente il processo può essere descritto con la seguente reazione:

In altri termini, il compostaggio altro non è che un processo biologico aerobico e controllato dall’uomo mediante il quale è possibile produrre un mix di sostanze umificate (il compost appunto), a partire da residui vegetali attraverso l’azione di funghi e batteri.

I materiali compostabili devono avere caratteristiche biochimiche tali da garantire una regolare attuazione del processo; in particolare devono essere facilmente degradabili dai microrganismi tanto da garantire un sufficiente nutrimento di questi ed un corretto processo. Tali materiali sono:
- scarti vegetali;
- rifiuti ad elevato contenuto di sostanza organica biodegradabile derivanti da attività produttive, commerciali e di servizio;
- frazioni organiche provenienti da utenze domestiche;
- fanghi di depurazione urbani e agro-alimentari;
- deiezioni zootecniche.
I microrganismi coinvolti nel processo di compostaggio sono molti e si alternano sinergicamente nelle varie fasi.

2.6.1 - Fasi del compostaggio
Le fasi in cui avviene il compostaggio sono essenzialmente riconducibili a due:
1. la fase attiva (o biossidazione): si caratterizza per un’elevata attività di microorganismi aerobici che, tramite l’idrolisi, degradano la parte organica più facilmente degradabile (zuccheri, acidi organici e aminoacidi) con consumo di ossigeno e liberazione di anidride carbonica e calore. Tale fase ha una durata di poche settimane e nella fase iniziale si determina un forte innalzamento della temperatura fino a livelli di 55°- 60 °C ;
2. la fase di maturazione: esaurita la frazione organica più fermentescibile, gran parte della popolazione microbica muore e la decomposizione continua con processi più lenti a spese di molecole più complesse e delle spoglie microbiche. Il processo entra nella fase di maturazione in cui la temperatura cala al di sotto dei 45°C (fase di raffreddamento), favorendo la ricolonizzazione delle superfici esterne del cumulo da parte di batteri e funghi. In questa fase il substrato per l’attività microbica è garantito dalla presenza di lignina e cellulosa: è in questo stadio che avviene l’umificazione, ovvero la formazione delle sostanze umiche che caratterizzano la qualità del compost.

La fase di maturazione può durare anche alcuni mesi e termina con l’abbassamento della temperatura del cumulo fino ai valori di quella atmosferica. Al termine della maturazione il compost ha assunto una colorazione scura, produce pochi odori ed il rivoltamento del cumulo non induce effetti di rilievo.
I fattori di controllo del processo che garantiscono le condizioni ottimali per lo sviluppo della microflora e consentono di accelerare le reazioni di decomposizione e trasformazione sono:
- Concentrazione di ossigeno (rapporto O2/CO2);
- Temperatura;
- Umidità;
- Nutrienti.
L’utilizzo del compost può essere molto utile, in quanto migliora la struttura del suolo e la biodisponibilità di elementi nutritivi; tra l’altro è in grado anche di incrementare la biodiversità della microflora nel suolo, in quanto agisce come attivatore biologico.

2.7 - Progetto Arpacal
Per quanto concerne il territorio della provincia di Reggio Calabria, il Dipartimento provinciale dell’Arpacal ha focalizzato l’attenzione su due interessanti progetti in materia di riutilizzo dei rifiuti organici, nell’ambito dell’attività di Educazione Orientata alla Sostenibilità.
Nello specifico, è stato spiegato alle famiglie che hanno aderito al progetto di compostaggio collettivo, le regole fondamentali da seguire per una corretta gestione delle varie fasi del compostaggio.
Alle famiglie che hanno aderito al progetto di compostaggio comunitario è stata consegnata una chiave per aprire le compostiere, in cui sarà conferito il materiale organico che, miscelato con la frazione secca, porterà nello spazio di alcuni mesi alla formazione di compost, che potrà, a sua volta, essere utilizzato allo scopo di fertilizzare il terreno e dargli nuova vita.
Dunque, in tale prospettiva, si può sostenere che per il territorio della provincia il compostaggio costituisce una priorità per la tutela dell’ambiente ed è complementare alla raccolta differenziata dei rifiuti, per realizzare una società a rifiuti zero e più sostenibile.
Difatti, i rifiuti organici rappresentano quasi il 40% del totale dei rifiuti in termini di peso, che, di norma, finisce in discarica, comportando non pochi problemi per lo smaltimento.
Pertanto, si ritiene che sia fondamentale promuovere il compostaggio individuale, condominiale e collettivo allo scopo di ridurre lo spreco del materiale organico, che, se riutilizzato correttamente, permette non solo di autoprodurre dell’ottimo compost ma anche di ottenere un importante vantaggio economico per le famiglie le quali, grazie agli sgravi fiscali del 20% sulla quota variabile della tassa sullo smaltimento dei rifiuti prevista dal Comune, hanno la possibilità di ridurre la propria bolletta.